IL DECOLLO IN PARAMOTORE

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Il decollo con il paramotore é profondamente diverso dal decollo con il solo parapendio, e certamente più tecnico. Il volo in sé e l'atterraggio sono potenzialmente molto più semplici con il motore che non senza, visti i luoghi e le condizioni in cui normalmente si pratica il volo motorizzato. E' dunque nel decollo che il novello paramotorista troverà le maggiori difficoltà, specialmente in assenza di vento... ma é poi veramente così difficile o basta conoscerne i trucchi?
Partiamo da una considerazione: i piloti esperti non hanno nessun problema a decollare con il paramotore, in qualsiasi condizione. Possiamo dunque desumere che é solo questione di esperienza, e di comprensione dei meccanismi che determinano un corretto decollo. Questi meccanismi o li impariamo da soli, provando e riprovando, magari spaccando qualche elica e rischiando di farci male o di demoralizzarci, oppure ce li facciamo insegnare da una persona esperta, magari un istruttore, che ci segua durante i primi tentativi di decollo per correggere i difetti dei quali non ci accorgiamo e che compromettono una buona riuscita dell'operazione.
Qui di seguito, alcune indicazioni di carattere generale, di volta in volta da adattare al tipo di attrezzatura che stiamo usando ed alla particolare condizione aerologica.

Vorrei introdurre l'argomento partendo da una "conditio sine qua non": il principiante paramotorista apprenderà l'arte del decollo in paramotore servendosi di una attrezzatura non meno che ottimale. Il mercato oramai mette a nostra disposizione vele e motori di facile impiego; inutile e dannoso cercare di imparare utilizzando vele non adatte o motori obsoleti. Quali siano le vele e i motori che fanno al caso nostro é argomento vasto ed esula dalle intenzioni di questo articolo, come sempre occorrerà affidarsi a persona esperta e coscienziosa per un consiglio.
Altra parentesi: avvicinandosi al volo a motore, durante i primi tentativi gioca un ruolo abbastanza importante l'aspetto psicologico. Il vololiberista non é abituato al rumore, alle vibrazioni e al peso del motore; ogni minima azione sulla manetta sembra provocare una spinta esagerata e l'elica sembra volerci rovesciare ad ogni sgasata. Tutto é nuovo e sembra assai macchinoso e complicato. Tuttavia, queste sensazioni sconcertanti scompaiono prestissimo, ci si abitua rapidamente alla nuova macchina ed ai suoi rituali ed ogni cosa apparirà presto semplice e naturale. L'unica cosa importante é farsi aiutare quindi, e a maggior ragione, durante i primi voli, per non scontrarci contro un muro di novità che non sappiamo ancora gestire da soli.

Eccoci arrivati, dunque, al succo della questione. Vediamo innanzitutto di analizzare le differenze che vi sono tra le due modalità di decollo: in pendio e senza motore, in pianura e con la spinta del motore.

In pendio:

- la vela parte da una posizione sopraelevata;
- gli attacchi della selletta sono bassi;
- non siamo ostacolati in alcun modo nei movimenti;
- il vento arriva "da sotto";
- ogni passo é un passo in avanti ma anche verso il basso;
- la vela accelera per effetto della progressiva presa in carico del nostro peso;
- non appena la vela va in portanza, il pendio ci "ruba" la terra da sotto i piedi.

In pianura:

- la vela sale da un livello più basso del pilota;
- gli attacchi della selletta sono in genere alti;
- il peso e la struttura del telaio ci limitano nei movimenti;
- il vento é perfettamente orizzontale;
- ci muoviamo solamente in orizzontale;
- la vela accelera per effetto della spinta del motore;
- dopo lo stacco la terra non si allontana velocemente (almeno con motori di modesta potenza).

Ognuna di queste diversità ha una sua precisa conseguenza. Ovverosia, nel decollo in piano:

- la vela é più "dura" da fare salire;
- nel fare forza sulle "A", la leva é sfavorevole;
- siamo un pò più impacciati nei movimenti;
- la velatura, una volta giunta sulla verticale, non é sostenuta dal vento ammenoché non sia di forte intensità;
- non siamo aiutati nella fase del gonfiaggio e del decollo dal nostro peso;
- la accelerazione per il decollo avviene in modo meno spontaneo e naturale;
- dopo lo stacco il franco di sicurezza é minore.

Abbiamo messo abbastanza carne al fuoco per cominciare a dettare delle regole per un buon decollo in paramotore. Per semplicità e visto che, in presenza di vento, tutto si semplifica enormemente, mi riferirò d'ora innanzi solamente alla situazione di un decollo con poco vento.
E' consuetudine, nel volo libero, distinguere nella manovra di decollo due fasi: gonfiaggio/controllo - accelerazione/decollo vero e proprio. Al fine di chiarire alcuni concetti, in questa sede analizzerò invece TRE momenti diversi: gonfiaggio - passaggio tra gonfiaggio e accelerazione - accelerazione per il decollo.

Innanzitutto il gonfiaggio: é chiaro che, se le condizioni per far salire la calotta sono così avverse, bisogna partire senza riluttanza, spingendo con decisione sulle "A" fino a che il nostro parapendio non sia perfettamente salito sulla verticale. Sembra banale dirlo, ma i piloti di libero sono così abituati ai privilegi del decollo da pendio che non é raro vederli tentare e ritentare inutilmente solo perché lasciano troppo presto le "A". E' invece opportuno in questa fase tenere le braccia alte e protese in avanti, quasi a voler posizionare le bretelle nella collocazione che avranno anche in volo, e avanzare con energia fino alla completa salita della calotta. Ritengo inutile in questo frangente aiutarsi con la spinta del motore: oltre che pericoloso (le gabbie monocerchio flessibili possono arrivare a toccare l'elica sollecitate dalla pressione dei cordini, mentre col motore al minimo l'elica é ferma grazie alla frizione di cui dispongono ormai quasi tutte le macchine) é anche controproducente, in quanto é giocoforza, per fare leva sulle bretelle, assumere una posizione del busto inclinata in avanti, posizione nella quale la spinta del motore non sarebbe orizzontale ma diretta in parte verso il basso col rischio anche di farci cadere. La pressione della gabbia sulle bretelle posteriori potrebbe inoltre cabrare un poco la vela, impedendole di avanzare.

Il gonfiaggio comunque non rappresenta un reale problema, nel senso che... o riesce, oppure no, senza conseguenze nefaste nel caso di un esito negativo (a parte le sudate nel ricominciare daccapo!).
Il vero problema col paramotore é nella transizione tra gonfiaggio e accelerazione col motore. Se riusciamo bene a capire e a gestire questo momento, non avremo più problemi. Per ulteriore semplicità distinguerò ora tra due casi diversi: caso primo, la vela é salita bene e si trova sulla nostra testa perfettamente diritta; caso secondo, la vela é salita un poco storta. I principianti tengano presente che durante i primissimi tentativi con poco vento, in caso di gonfiaggio imperfetto é meglio fermarsi e ripetere daccapo, piuttosto che complicarsi troppo le cose.

Caso primo: eccoci dunque con la vela che sta arrivando diritta sulla testa perfettamente gonfia ed in pressione. Cosa facciamo ora? Lasciamo le bretelle, diamo un'occhiata alla vela e diamo gas se é tutto a posto? Questo é ciò che farebbero (e fanno) in molti, ma é sbagliato!
Non dobbiamo dimenticare che: 1) la vela non rimane ferma ed in pressione sulla testa da sola con poco vento, inevitabilmente ricadrà subito indietro o da qualche altra parte se le verrà a mancare qualsiasi "input"; 2) non possiamo pensare di continuare a mantenerla gonfia con la sola forza delle braccia; 3) é importantissimo dare gas SOLO NEL MOMENTO IN CUI ABBIAMO RADDRIZZATO LA SCHIENA.
Vorrei soffermarmi su questo ultimo concetto. Dare gas e correre con il busto inclinato, come normalmente si fa in volo libero per caricare il pettorale, é sbagliatissimo col paramotore, per due principali motivi. Innanzitutto é intuitivo che, se non manteniamo la schiena diritta, l'asse di spinta del motore non é parallelo al terreno perciò la sua efficacia é limitata. Ma soprattutto, dare gas e correre col busto in avanti, ha conseguenze nefaste sulla progressiva e corretta presa in carico del peso del pilota. Mi spiego meglio: correndo col busto inclinato avverrà comunque che, ad un certo punto, l'ala tenderà a sollevarci, e il motore ci spingerà brutalmente la tavoletta sotto al sedere, sollevandoci i piedi... Soltanto che non avremo ancora raggiunto la necessaria velocità per il decollo... Risultato? BANG!
Occorre invece correre a mò di ballerino di danza classica, busto eretto, per permettere ai nostri piedi di continuare a toccare terra il più a lungo possibile. Il fatto di drizzare la schiena prima di dare gas deve divenire per noi un gesto istintivo.

La corretta sequenza da osservare, quindi, é la seguente: DRIZZARE LA SCHIENA, continuando a spingere sulle bretelle - DARE GAS, a seconda del motore impiegato, per un 30/40%, comunque non abbastanza per staccare - CONTROLLARE VISIVAMENTE LA CALOTTA, continuando ad avanzare per impedirle di superarci - LASCIARE LE BRETELLE.

In questo modo ci si porta con naturalezza alla successiva fase di accelerazione, quando, una volta appurato che é tutto a posto e con la vela bella in pressione sulla testa (solo se é rimasta un pochetto indietro la aspetteremo un attimo), porteremo gradualmente ma con decisione, nel giro di pochi istanti, la manetta al massimo. A questo punto, mani alte, non ci resta che "farci spingere", correndo con la schiena bella dritta fino ad un completo distacco.
Se non sentiamo la progressiva trazione dell'ala , é perché sta cercando di superarci; in tal caso può essere utile una pizzicata di freni per cabrarla e agevolare il distacco. Con alcune vele cabrare é la prassi. In ogni caso, evitate di appendervi ai comandi, é importante invece accumulare velocità.

In sostanza, fra gonfiaggio e spinta per il decollo non vi deve essere soluzione di continuità.
Solo in presenza di vento avremo tutto il tempo per gonfiare, controllare ecc., prima di agire sulla manetta per il decollo vero e proprio.

Caso secondo: il parapendio é gonfio ma non é perfettamente in asse, bensì inclinato da una parte o imbardato. Ce ne accorgiamo dalla pressione asimmetrica e dalla posizione delle bretelle, e dalla bandella laterale che possiamo tenere d'occhio anche durante il gonfiaggio (tenendo la testa girata da un lato). In questo caso, la sequenza da applicare nella transizione é la stessa, ma contemporaneamente ci porteremo sotto alla vela traslando lateralmente e controfrenando un poco (a vela salita, dopo aver cominciato a dare gas!) l'estremità più avanzata, come si fa in volo libero. Avremo cura di non aumentare molto  i giri fino a quando non saremo ben sotto alla vela, altrimenti si rischia un decollo in virata, con tutte le conseguenze del caso.
E' da tenere presente, comunque, che questa operazione risulta difficoltosa con poco vento e dipende in gran parte dalla autostabilità e capacità della vela di "galleggiare" sulla testa senza ricadere. Per questo motivo vele più leggere sono in genere più tolleranti.

Volendo riassumere, proverò a dettare tre sintetiche regoline per un felice decollo con il paramotore con vento debole:

1) accompagnare la vela per bene fin sopra la testa, con una prolungata azione sulle bretelle anteriori;

2) dare gas prima di lasciare le bretelle (ma dopo che la calotta é salita), naturalmente a schiena dritta;

3) non smettere mai di avanzare.

Con poco vento, l'indecisione é la vostra peggiore nemica. Occorre determinazione e tempismo, naturalmente ricercando una certa fluidità e continuità dei gesti che si acquisisce con la pratica. Indovinare il momento giusto per aprire la manetta é questione di esperienza, per questo motivo chi di esperienza non ne ha farà bene ad utilizzare motori non esageratamente potenti per non mettere in crisi la vela, e soprattutto vele che ben assecondano la spinta del motore e non rischiano di inchiodarsi lì dove sono mentre voi salite...
In effetti il decollo con il paramotore, a pensarci bene, é alquanto strano. Si tratta infatti di fare accelerare utilizzando la spinta dell'elica una struttura (la vela) alla quale non siamo rigidamente vincolati, bensì appesi qualche metro sotto tramite delle funi. L'asse di spinta é parecchio in basso rispetto al centro di pressione dell'ala, dobbiamo cioé "tirarla" avanti agendo da sotto. Situazione ben diversa da quella di un aereo in rullaggio sulla pista di decollo, con un motore ben fissato all'ala e vicino ad essa. Per questo motivo, ancora una volta nella dinamica del decollo in paramotore interviene il peso, l'unico fattore che può veramente "tirare avanti" la vela, ma in modo diverso che in volo libero. Lungo un pendio sarà infatti la corsa verso il basso a caricare progressivamente l'ala, mentre in pianura é uno strano gioco tra spinta del motore, massa sospesa e portanza della vela a far sì che questa "senta" il peso.
Avviene più o meno così: il motore mette in tiro le funi, la vela "rimane indietro" quel tanto da sollevare qualche chilo del nostro peso (prima sollevava solamente sè stessa) per effetto pendolo. Ecco che quei chili che la vela si prende in carico la fanno accelerare un poco (aumenta il carico alare), mentre il motore continua a lavorare mantenendo in tiro le funi e "facendole sentire" altri chili, fino a quando la velocità non é sufficientemente elevata da permettere il decollo (tutti i chili sono stati presi in carico). E' come se l'insieme ala-motore si "creasse" il pendio che manca. Condizione necessaria quindi, per il decollo con il motore in piano, é che la vela rimanga leggermente indietro rispetto al pilota. Come potrebbe, altrimenti, il motore fare sentire la sua influenza da parecchi metri sotto?
Il problema é che, se la vela rimane troppo indietro, l'incidenza é elevata, prossima allo stallo (= pericolo) e impedisce con la sua resistenza una efficace presa di velocità. E' in questo frangente che alcuni parapendio, che pure si gonfiano bene,  mostrano i loro limiti. Una buona ala accelera istantaneamente da questa posizione "arretrata", un po' innaturale, senza rimanere ulteriormente indietro, anche se sollecitata con motori potenti.

Una ultima considerazione sul gonfiaggio rovescio:non pone alcun problema; naturalmente é impensabile gonfiare senza avere i comandi già incrociati per poi lasciarli e riafferrarli come spesso si vede fare in volo libero, visto che in una delle due mani stringiamo la manetta del gas. I comandi saranno perciò già incrociati, e agiremo su entrambe le bretelle "A" con la sola mano libera per sollevare la calotta. A vela gonfia e stabilizzata ci gireremo e, schiena dritta, agiremo progressivamente sul gas. Se ci lasciamo sorprendere da una raffica che ci solleva all'improvviso, non commetteremo l'errore di rilasciare di colpo il gas, nel qual caso pendoleremmo violentemente in avanti.
Buoni voli a tutti.
Davide Tamagnini

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Il consiglio dell'esperto:
l'unico vero sistema per decollare con zero vento e' il seguente , se siete da soli portatevi un paramotor di scorta e posizionatelo venti metri davanti al vostro decollo , accendetelo ed accellerate al massimo , dopo tornate al vostro posto ed imbracate il secondo paramotor ancoratevi la vela e così facendo potete tranquillamente decollare alla francese, la cosa non e' economica ma funziona .
PS. ricordatevi di mettere poca benzina sul primo paramotor cosi dopo poco si spegnerà da solo.
Elio Boccolini



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